L’Etna si rigenera costantemente, e fa generare nuova vita e cultura: le frequenti eruzioni non lo fanno mai essere uguale a com’era, e la stessa forza ha l’opera degli uomini che si ostinano ad abitare la Muntagna. Le colate laviche succedutesi nei millenni hanno lasciato un terreno variabilissimo. Per quanto le stiamo aiutando con il nostro lavoro, le viti devono lottare per sopravvivere. Alcune possono affondare le radici in un terreno fertile, altre trovano solo la nuda roccia. Il microclima è segnato da variazioni estreme; abbiamo temperature rigide d’inverno, quasi alpine, ma d’estate il caldo sole siciliano ci riporta nel Sud. E la siccità si fa sentire nei terreni vulcanici, sabbiosi. Solo con tanta fatica possiamo trattenere quel po’ di umidità nella terra che permette alle piante di non doversi arrendere.
Le viti soffrono per la siccità dei terreni vulcanici, ma la sofferenza è uno stimolo per le piante: danno poco frutto, ma ricchissimo. Non dolce e concentrato, ma sempre in grande equilibrio con la giusta aciditià. Carricante, Minnella, Grecanico, Malvasia, Visparola per i bianchi, e poi i rossi Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Alicante sono i vitigni che sull’Etna sono da sempre coltivati. Li troviamo solitamente piantati uno accanto all’altro, in vigneti promiscui.
Vigneti dove si pratica una viticoltura primordiale, e produrre un vino Etneo costa tempo, risorse e fatica. Ma non possiamo immaginare scorciatoie per renderci la vita più facile, perché solo con il rispetto delle tradizioni possiamo fare vino come lo vogliamo fare. La vite è allevata ad alberello, ad alta densità, fino a quasi diecimila piante per ettaro. La cura manuale che i Vigneri riservano ad ogni singola pianta rende necessari pochissimi trattamenti durante l’anno, usando solo zolfo e poltiglia bordolese. Vendemmiamo tardi, e solo grappoli d’uva sani e cresciuti naturalmente, per dare vita a grandi vini, veramente Etnei.